Il bilancio del progetto esordienti 2019/2020: intervista a mister Ruaben

Quest’anno, la società del ACF TRENTO ha lanciato una nuova squadra di piccole calciatrici. La scorsa stagione le ragazze si allenavano, ma non c’erano ancora i numeri per iscrivere la squadra ad un campionato. Con allenamento e costanza e le iniziative degli OPEN DAY del 2019, la società è arrivata a coinvolgere un grande numero di atlete che sono state affidata alle competenze di mister Mauro Ruaben. Abbiamo chiesto al mister di raccontarci come è andata.

Come è andata questa stagione?

“È stata una stagione strana disputata solo a metà, con tutto ciò che ne consegue. Detto questo, considerando anche che per la stragrande maggioranza delle ragazze si trattava del primo approccio al calcio fatto all’interno di una società con obbiettivi da raggiungere, il bilancio non può che essere positivo.

Abbiamo lavorato innanzi tutto sulla mentalità e sul concetto di “divertirsi sì, ma divertirsi nella maniera corretta”. Il calcio è un gioco di squadra, quindi l’individualità deve lasciare il posto al bene del gruppo. Questo non significa che il singolo si deve annullare nel gruppo, ma che grazie ad esso deve esaltare le proprie capacità. Credo che nonostante qualche inevitabile difficoltà il concetto sia stato recepito e si sia visto nell’evoluzione del gioco. Una delle cose più positive, ma che ha anche creato notevoli difficoltà, è stato il grandissimo numero delle ragazze che hanno abbracciato il progetto. Gestire un numero elevato di atlete significa anche dover tener conto di livelli di preparazione molto differenti. Abbiamo però riscontrato in tutte un entusiasmo, ed una grande voglia imparare, testimoniata da una percentuale di partecipazione agli allenamenti altissima. Nel corso dei mesi le ragazze hanno in gran parte recepito il concetto che per avere dei risultati, in qualsiasi campo, occorre lavorare duramente poiché non dobbiamo mai dimenticare che se fuoriclasse si nasce, campioni si diventa. Naturalmente non è sempre stato semplice e ci sono state volte in cui a fine allenamento noi dello staff siamo usciti dal campo con un gran mal di testa, ma fa parte del gioco. Il numero di 34 componenti ci aveva indirizzato ad affrontare la seconda parte di stagione dividendo il gruppo in due squadre. Credo che questo avrebbe migliorato molto il lavoro e fatto crescere tutte. Purtroppo, non è stato possibile mettere in pratica tale scelta”.

Durante la stagione, sei stato affiancato anche da uno staff di tutto rispetto, come è andata?

“Fondamentale per il lavoro svolto è stata non solo la presenza di uno staff numeroso, ma soprattutto il loro impegno, la loro dedizione, la loro pazienza e le loro capacità tecniche e didattiche. Per esperienza so che non è facile gestire un gruppo, figuriamoci un gruppo di adolescenti, figuriamoci poi se il gruppo supera i trenta componenti. Mi sento di nominarli tutti e lo faccio in assoluto ordine alfabetico perché ciascuno ha messo a disposizione il proprio tempo, impegno e conoscenze senza mai tirarsi indietro: Angelica, Alessia, Gianfranco, Nicole, Safia, Silvia M., Silvia Z. Una nota particolare per Luca che non solo è sempre stato presente sul campo partecipando alla gestione degli allenamenti, ma ha svolto un lavoro organizzativo e di collegamento con la società, la federazione e le altre squadre”.

A proposito di staff, Gianfranco, che ha affiancato Mauro in questa sua prima esperienza di allenatore, ci ha raccontato le sue sensazioni:

“Questa è stata la mia prima esperienza come allenatore di una squadra di calcio e ne sono entusiasta. Ho iniziato a giocare a calcio quasi 40 anni fa. Il nostro mister era il papà di un nostro compagno di squadra e arrivava al campo di allenamento con la tuta da lavoro. Ho dei ricordi indelebili di quel periodo, una serie di emozioni e sensazioni che pensavo fossero andate perse. Invece, questa esperienza mi ha ricordato la bellezza di questo sport. I dirigenti, il mister, le ragazze, i genitori hanno tutti un grande merito, sono riusciti a creare qui nel Trento un ambiente dove tutti possono mettersi in gioco con i propri talenti e migliorare costantemente come atleti e come persone. Sono rimasto sbalordito dalla tenacia delle ragazzine: hanno una determinazione, una forza di volontà che non avevo mai avuto occasione di toccare con mano. Da come si muovono, dai loro gesti si capisce chiaramente il loro desiderio di affermarsi, di dire al mondo “ci siamo anche noi”, ma con un rispetto per l’altro e per le regole che è encomiabile. Vi racconto un aneddoto: eravamo al terzo tempo di una partita amichevole e avevo personalmente perso il conto dei gol subiti. In una pausa, ho visto le ragazzine un po’ demoralizzate. Erano arrabbiate non per il risultato ma per il fatto che gli avversari si stessero un po’ prendendo gioco di loro: ho detto loro che al di là del risultato niente e nessuno impediva loro di farsi rispettare all’interno delle regole del gioco. Sono entrate in campo con un altro spirito e a fine partita si è percepito chiaramente che gli avversari di gioco avevano capito di aver avuto a che fare con delle ragazze toste e anche le ragazze lo avevano capito. Non so quanti gol abbiamo preso, ma a fine partita nello spogliatoio c’era un’euforia incredibile, come se avessero vinto una finale mondiale”.

Allenare così tante ragazze e con livelli molto differenti deve essere stato molto complicato, qual è stato il tuo segreto?

“Nella gestione degli allenamenti ci siamo dati degli obiettivi da raggiungere e su questi abbiamo lavorato durante tutti gli allenamenti svolti. Come prima cosa, creare la consapevolezza dell’importanza del lavoro e della serietà con cui il lavoro va svolto. Insistendo su questo in ogni momento necessario a costo di risultare anche pesanti ed antipatici. È l’aspetto più difficile che riguarda la testa delle atlete. Il lavoro vero e proprio vedeva gli allenamenti divisi in due parti: una legata alla tecnica individuale, volta ad aumentare le conoscenze dei gesti tecnici di base indispensabili per poter svolgere un gioco di insieme; una seconda più tattica per capire che giocare a calcio non vuol dire rincorrere a caso la palla, ma inserire i propri movimenti in un contesto d’assieme. Una squadra di calcio è come un’orchestra in cui tutti gli elementi devono conoscere uno spartito comune in cui poi ciascuno mette le proprie capacità di solista. Questo richiede un lavoro continuo ed approfondito e fondamentale è stato essere la presenza dello staff, che ha permesso di dividere le ragazze in più gruppi lavorando così con maggiore attenzione”.

Cosa ci aspetta nel futuro?

“La speranza è di poter riprendere da dove abbiamo lasciato con lo stesso entusiasmo”.      

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